Toma, Ventura e Conte. Da Pisa a Torino: La storia del 4-2-4

Antonio Toma

È arrivato il momento di analizzare e raccontare la storia di un modulo tattico che sta tornando in auge dopo molto tempo, il 4-2-4. Schema tattico storicamente inventato dalla grande Ungheria, si è poi perfezionato negli anni e ha fatto la fortuna del Brasile di Garrincha, Didì, Vavà e Pelè. Accantonato per evidenti limiti difensivi, è tornato a far capolinea in Italia a metà degli anni 2000 nel calcio minore, per poi, oggi, essere sotto gli occhi di tutti in Serie A. Ho seguito da vicino lo sviluppo di questo schema nelle ultime 7 stagioni e oggi parleremo un po’ di tattica.

ANTONIO TOMA, DAL SALENTO A PISA – Ex fenomeno mediatico su youtube, famoso per i suoi filmati nel calcio minore dove scartava intere difese segnando gol a valanga, “MaraToma” si è poi ritirato dal calcio e ha intrapreso la strada di allenatore. A scommettere su di lui l’ex direttore sportivo del Pisa Gianluca Petrachi (oggi al Torino) che lo portò nella città toscana nel 2005-06 quando i neroazzurri viaggiavano in zona salvezza. Toma portò subito l’idea di gioco del 4-2-4, ancora acerbo, con l’idea di base di poter andare in porta e costruire l’azione in pochi secondi. Dopo la salvezza centrata col Pisa, Toma rimase senza contratto.

GIAMPIERO VENTURA – Due stagioni dopo, nel 2007-08, ancora una volta a Pisa, per un curioso caso, Giampiero Ventura portò il suo 4-2-4 a un livello più alto di quello di Toma. Con lui i neroazzurri sfiorarono la Serie A, venendo eliminati solo ai Playoff, ma eguagliando il record di vittorie in trasferta della Juventus nel campionato cadetto. Ventura poi esportò questo modulo di gioco a Bari, successivamente, dopo che Anche il tecnico Antonio Conte lo aveva utilizzato nella città pugliese. Infine oggi questo schema fa la fortuna del Torino, ai vertici del campionato cadetto.

ANTONIO CONTE – Ulteriore evoluzione, il gioco di Antonio Conte. Prendendo spunto dalle idee di Toma e Ventura, all’esordio da allenatore nell’Arezzo, Conte fece spesso viaggi in Salento, disquisendo di tattica con Toma e venendo a Pisa a prendere appunti sul gioco di Giampiero Ventura. Fu così che, quando nella stagione 2008-2009 divenne allenatore del Bari, Conte ingaggiò come allenatore in seconda prima, e curatore della fase difensiva poi, Antonio Toma. Nacque un’intensa collaborazione che portò il Bari al ritorno in Serie A dopo molti anni. Oggi Toma allena la primavera del Lecce, dove ancora pratica questo modulo di gioco. Conte invece ha proseguito nel perfezionamento dello schema, prima a Bergamo e poi a Siena, centrando altre 2 promozioni in A, per poi definitivamente consacrarsi a Torino, in questa stagione, come allenatore della Juventus.

Giampiero Ventura

L’IDEA DI GIOCO – Ma cos’ha di speciale questo modulo di gioco? Analizziamo la parte tecnica. Prima di tutto non esiste il rinvio lungo del portiere, l’azione parte sempre dalla propria area di rigore, dove l’estremo difensore passa il pallone ai due difensori centrali, che iniziano l’azione e smistano subito la palla. La difesa, bloccatissima, è composta da due centrali e due terzini bloccati, spesso adattabili come centrali. Non è un caso che Chiellini e Lichsteiner vengano impiegati in questo ruolo a Torino. A centrocampo due mediani a tutto campo, con un corridore e un giocatore più tecnico, che hanno il compito di effettuare rapide verticalizzazioni, o allargamenti veloci del gioco verso le due ali offensive. Le due ali spesso sono composte da un giocatore leggermente meno a trazione anteriore dell’altro, ma devono avere una grande capacità di resistenza e corsa, per tutta la partita. Infine i due attaccanti non sono semplici punte, ma giocatori che possono giocare palla a terra, spesso con uno-due veloci o veli improvvisi a favorire il secondo attaccante. Non è un caso che ieri la seconda rete della Juventus sia arrivata proprio su un rapido sviluppo di un uno-due rapido al limite dell’area di rigore. In fase difensiva spesso le due punte pressano i difensori, ma il pressing e il contropiede sono altre due armi importanti di questo modulo di gioco.

VARIAZIONI SUL TEMA E CONTROMISUREAntonio Conte ha migliorato molto questa idea di gioco, spesso adattandola ad altri moduli, magari aggiungendo un uomo in più a centrocampo in un 4-3-3 come contro l’Inter, oppure un 4-1-4-1 espresso contro il Milan nella partita di Torino. Ci sono però dei limiti in questo tipo di gioco. Allegri in questo caso non seppe trovare la chiave di lettura della gara, subendo la Juve per tutta la partita. Ci sono almeno tre modi per contrastare o limitare questo sistema di gioco. 1) Questo schema è perfetto per partite a viso aperto contro squadre dello stesso livello o superiori. Non servono campioni ma interpreti. Eppure contro squadre provinciali e più chiuse questo sistema di gioco trova difficoltà a esprimersi perché si esalta proprio negli spazi aperti. Giocare in questo modo, magari sacrificando un po’ il proprio modo di giocare è uno dei modi per contrastarlo. 2) Pressing alto. Le due punte devono pressare subito i difensori, proprio perché il gioco parte dalla propria area di rigore. In questo caso, nel gioco di Allegri, attaccanti passivi in fase difensiva sono dannosi per la squadra. 3) Limitare il gioco dei mediani, pressando insistentemente con un uomo a centrocampo uno dei due portatori di palla, porterà all’errore.

Antonio Conte

JUVE, DOVE PUO’ ARRIVARE? – Questa Juve può andare molto lontano, sono convinto che lotterà fino alla fine del campionato per lo scudetto. Le variabili tattiche di Conte, che ha imparato e migliorato lo schema di Toma e Ventura, possono essere le chiavi di lettura in quegli scontri dove notoriamente questo schema è fallace. L’importante è credere sempre nei propri mezzi, come dice sempre Giampiero Ventura “se vogliamo possiamo”. Un training mentale che anche Conte cerca di trasmettere ai propri ragazzi.

L’articolo di Michele Bufalino è gentilmente concesso dall’agenzia di stampa www.videonewstv.tv ed è pubblicato anche su  www.pisanellastoria.itwww.rossonerosemper.com e www.iotifopisa.com

Trovate gli articoli anche qui (http://www.michelebufalino.com/2011/10/31/toma-ventura-e-conte-da-pisa-a-torino-la-storia-del-4-2-4/), qui (http://www.iotifopisa.com/index.php?option=com_k2&view=item&id=244) e qui (http://www.pisanellastoria.it/index.php?view=article&catid=1:ultime&id=239:-toma-ventura-e-conte-da-pisa-a-torino-la-storia-del-4-2-4) oltre che su questa pagina.

Normalizzato?

Non è solo il Milan a vincere. In attesa della Lazio, impegnata stasera a Cagliari, danno continuità alle loro prestazioni anche i gobbi battendo i prescritti e l’Udinese vincendo di misura contro il Palermo (si, quello che era comunque scarso per averne prese tre a San Siro). Dovesse vincere la Lazio questa sera ci sarebbe una prima separazione tra le prime quattro e le altre – dove il Napoli si fa rimontare e superare in virtù del confronto diretto dal Catania. E’ in particolare la squadra di Guidolin che continua a convincermi per una solidità difensiva che lo scorso anno non aveva: dovessi scegliere un avversario per lo scudetto tra le due che ci stanno davanti sceglierei loro e non i gobbi che comunque mi sono parsi sottotono.

Dietro vanno veramente piano: Novara e Lecce ottengono un punto a testa mentre il Cesena perde ancora (la sesta) e solo il Bologna rimontando l’Atalanta (che raggiunta quota “positiva” pare essersi calmata) riesce a superare l’Inter lasciandola al quartultimo posto. Da come è iniziato questo campionato Cesena e Novara sembrano condannate alla retrocessione, ma è ancora lunghissima.

Guardando in casa nostra, dopo il Catania avremo affrontato tutte le prime sei della classifica – degli scontri rimasti da qui alla fine del girone di andata solo quello con l’Inter e – in parte – la trasferta a Firenze possono riservare sorprese. Insomma per noi è il momento di fare punti – e tanti – mentre per le altre è il momento di resistere: la prima che dà uno strappo portandosi a tre/quattro punti sulle altre si porta a casa il torneo. Con l’andare delle giornate, comunque, il “presunto” equilibrio si sta sempre più spezzando, e nonostante il mio ottimismo sull’Udinese rimango convinto di vedere tra un paio di giornate noi e i gobbi in lotta per il titolo, con i prescritti a guardarci col binocolo, insomma dopo tanti anni finalmente un campionato normalizzato.

Rieccoci in alto

A sei anni di distanza il Milan torna a sbancare l’olimpico di Roma e lo fa con un Ibrahimovic che torna trascinatore. Ne esce una partita che applica la crudele legge del calcio: la Roma ha giocato, noi abbiamo vinto. Non può non essere un caso quindi – ad esempio – che i tre gol siano arrivati tutti e tre di testa contro una squadra che fa del gioco palla a terra il proprio credo.

Dalla partita di Roma portiamo a casa il primo posto temporaneo, una striscia di quattro vittorie consecutive – cinque contando quella in Champions col Bate – che nessuno in campionato ha ancora realizzato e che ci hanno fatto scalare in fretta la classifica. Ci portiamo un Aquilani che si inserisce sempre più nel centrocampo della squadra e un Cassano che dalla panchina riesce a dare l’impatto vincente.

Non mi è piaciuta invece la prestazione di Boateng – una tripletta a Lecce non basta per prendere un posto da titolare nel Milan in quel ruolo – data la concorrenza di Robinho, Cassano e Seedorf in rigoroso ordine di preferenza. Seconda espulsione ingenua per lui, evitabile, considerata la fede dell’arbitro di oggi – che non ci ha regalato nulla, consentendo alla Roma di continuare a praticare il proprio gioco alla Barcellona – gioco che in Italia evidentemente non funziona. Non basta fare possesso e dominare a larghi tratti la partita per vincerla se per fare questo si concedono ampi contropiedi agli avversari (Robinho e Nocerino sciupano un gol già fatto a testa – il primo ingenuamente tirando da metà campo in situazione di 2 vs 1).

Rimane comunque importante il segnale dato – anche oggi – dai tre gol segnati che portano lo score a quattordici in quattro partite, portando Ibrahimovic a quota quattro, di nuovo capocannoniere della squadra con sei reti all’attivo tra campionato e Champions League. Basterà sistemare una difesa dove Thiago Silva oggi rasenta la sufficienza cominciando a giocare solo dopo dieci minuti di gara, mentre Nesta corona una grande partita con un gol su calcio d’angolo (cominciamo – finalmente – a non batterli più corti, grazie?)

Il futuro resta comunque positivo – staccato di tre punti il Napoli già campione d’Italia, la squadra più forte e col gioco migliore secondo gli esperti (di gufate) e un calendario che ci permetterà ora di macinare punti con l’unica incognita della trasferta di Firenze. Alla luce del Milan a pieno organico in attacco – è possibile ancora pensare che il Milan vero sia quello prima della sosta? Non siamo probabilmente irresistibili ma siamo una squadra che se gioca resta una spanna sopra alle altre, e riuscendo a vincere partite in cui ci troviamo una terna arbitrale al limite delle manette mourinhane. Basta rimettere a posto la difesa, e si potrà pensare a qualcosa di più del semplice campionato.

ROMA-MILAN 2-3 (Primo tempo 1-2)
MARCATORI: Ibrahimovic (M) al 17’, Burdisso (R) al 28’, Nesta (M) al 30’ p.t.; Ibrahimovic (M) al 33’, Bojan (R) al 43’s.t.
ROMA (4-3-1-2): Stekelenburg; Cassetti, Burdisso, Juan (Heinze dal 26’s.t.), Josè Angel; Gago (Lamela dal 18’s.t.), De Rossi, Pizarro; Pjanic; Borini (Bojan dal 38’ p.t.), Osvaldo (Curci, Perrotta, Borriello, Greco). All: Luis Enrique.
MILAN (4-3-1-2): Abbiati; Abate, Nesta, Thiago Silva, Zambrotta; Aquilani, Van Bommel, Nocerino (Ambrosini dal 43’s.t.); Boateng Emanuelson dal 21’s.t.); Robinho (cassano dal 28’s.t.), Ibrahimovic. (Amelia, Taiwo, Yepes, Bonera). All: Allegri
ARBITRO: Damato di Barletta.
NOTE – Spettatori 27.055 per un incasso di 1.085.670,00 euro, abbonati 16.923 per una quota di 356.025,00 euro. Angoli 12-6. Recuperi 2’p.t.; 4’s.t..Ammoniti Van Bommel, Nocerino, Aquilani, Gago e Pjanic per gioco scorretto. Espulsi Boateng al 22’ s.t. per proteste, subito dopo essere stato sostituito, Allegri al 45’s.t. per proteste.

Super Sabato

Olimpico, ore 18.00. Si va a Roma – là dove l’anno scorso fu scudetto – a caccia della vetta. Si va in una giornata che vede in campo oltre a noi due delle dirette concorrenti per lo scudetto: Juventus e Napoli entrambe impegnate in due difficili trasferte contro squadre impegnate per la lotta salvezza. Si va nel campo dove lo scorso anno si è conquistato il tricolore, campo dove nonostante tutto non si vince dalla stagione 2004-05, e si è ottenuto solo pareggi nelle ultime quattro stagioni. Si va per vincere e per passare – forse – un paio d’ore, una notte o più da capolista del campionato – obiettivo solamente impensabile quattro giornate fa.

Giochiamo contro una squadra che come l’Inter cresce giorno dopo giorno ma che a differenza dei nerazzurri non ha voluto cambiare l’allenatore, cominciando ad ottenere i primi risultati positivi proprio in concomitanza dell’esonero di Gasperini. Affronteremo una squadra che proverà a tenere in mano il possesso palla ed aggredirci sulle fasce, sarà importante quindi lo schieramento dei terzini con Taiwo che vedrei – stavolta – volentieri in panchina per lasciare spazio all’esperienza di Zambrotta. E’ il dubbio che ha Allegri in formazione, in una squadra che vede Nesta rientrare in difesa di fianco a Thiago Silva dopo il turno di riposo e – forse – Van Bommel rientrare in un centrocampo dove vengono confermati l’ex Aquilani, un Nocerino fresco di tripletta e l’eroe di Lecce Kevin Prince Boateng.

E’ in particolare della situazione del Ghanese che vorrei parlarvi: il ciclo di ferro da cui siamo usciti infatti si ripresenterà tra il 21 Gennaio e il 12 Febbraio, costringendo Boateng a saltare le trasferte di Roma contro la Lazio e di Udine, oltre alla gara scudetto contro il Napoli: abbastanza per parlare di campionato falsato? Di certo è il caso che la FIFA cominci a prendere una radicale decisione sulla coppa d’Africa e sul suo disputarsi in Gennaio, dato che i tornei europei sono sempre più pieni di giocatori Africani.

Due parole anche sull’ex derby d’Italia, ex in quanto il Milan è tornata indubbiamente la squadra di Milano con più titoli vinti sul campo. Mi hanno colpito molto le parole di Ranieri – che si è lamentato dei rigori fischiati – tutti evidenti tranne quello col Napoli – contro la seconda squadra di Milano. Chiederei a Ranieri e Paolillo se esista un limite massimo di rigori fischiabili contro una squadra – oppure se ne esista uno minimo e se tale limite sia stato applicato nelle 56 partite senza un rigore contro subite dalla squadra nerazzurra. Siamo comunque tornati ad aggrapparci a loro sperando che levino punti alla Juventus per la lotta al titolo – segno che il cerchio si è finalmente chiuso?

E ora, cari gufi?

E adesso come la mettiamo? E adesso cosa faranno quei tifosi finti e falsi che avevano criticato gli acquisti di agosto senza nemmeno vedere come si sarebbero inseriti? Cosa faranno quelli che con un profondo atto di malafede avevano preso per vere gli scontri con le prime quattro della attuale classifica disputati da una squadra con 11 giocatori fuori e in un pessimo momento di forma e che – nonostante questo – hanno lasciato comunque dei segnali positivi (dominio del gioco con Lazio e Udinese, furto a mano armata a Napoli e 0-0 a due minuti dalla fine a Torino giocando male) bellamente ignorati. Difficile correggersi, difficile ammettere che due dei tre acquisti – aspettando Taiwo – hanno rinforzato ulteriormente la squadra. Meglio continuare a piangere la partenza di un Pirlo mai decisivo la scorsa stagione, anzi, a dire la verità, nelle ultime tre e – fino alla sosta – potevano anche avere ragione.

Succede poi che la preparazione fisica arriva all’apice e che i tre giocatori principali della squadra (Boateng, Robinho e Ibrahimovic) rientrano a pieno servizio. Succede che in tre partite si segnano undici gol e si realizza un filotto di tre vittorie consecutive (quattro con il Bate in Champions) che nessun’altra in Italia ha ancora realizzato in questa stagione. Succede che i nuovi acquisti sostituiscono egregiamente i senatori infilandosi nelle pieghe della squadra e imponendosi con i gol, la corsa e il gioco. Ai “milanisti incontentabili” non rimane altro che prendere coscienza dei fatti barricandosi quindi dietro alle solite frasi fatte sul “campionato di basso livello” (le italiane hanno finora ottenuto la media punti più alta in champions (6) per paese) e sui giocatori “scarsi” che emergono solo in queste realtà, fino all’apoteosi – ovvero negare ogni merito della goleada attribuendolo unicamente al fatto che si è giocato contro un avversario scarso. Esaltandosi poi quando il Barcellona rifila tre pere al Racing Santander di turno.

Curiosa anche l’alleanza con gli “allegriani” che riprende un ritornello che ci vede scarsi, probabilmente non da podio e qualora si centrasse un risultato positivo il merito è da attribuirsi solamente all’allenatore. Curioso perché quando sono costretti ad ammettere errori di formazione non si tirano indietro ma pretendono meriti per i cambi tardivi o per aver “azzeccato” la formazione contro il Parma. Personalmente ritengo che l’allenatore nel calcio sia una figura che possa avere quasi unicamente demeriti – è chiamato a non sbagliare, non a costruire: gli unici meriti sono non quando non sbaglia ma quando riesce a far rendere una squadra al di sopra del suo standard – e non è certo il caso di questo Milan, ancora tra il 70% e l’80% delle sue possibilità quando gioca bene.

Ammettiamo quindi in conclusione il nostro errore di valutazione di mercato – quando demmo un sette al calciomercato rossonero. Voto che personalmente mi sento ora di ritoccare in otto, per gli affari portati a casa in rapporto qualità / prezzo. Anche se qualcuno storcerà il naso per non aver speso una barca di soldi (perché serva effettivamente farlo – o per puro sfizio personale di voler vedere la società spendere?) e per aver preso giocatori in comproprietà con un’altra squadra (orrore – non sia mai!) – insomma pare che l’importante non sia chi si prende, ma come lo si prende. Mi auguro che la parte sana del tifo rossonero si dissoci presto da questi personaggi, schiavi di loro stessi e di una linea editoriale che continuano a portare avanti a spada tratta, la stessa spada che Don Chischiotte teneva saldamente in mano contro i mulini a vento. In fondo a cambiare idea si è sempre in tempo, e solo lo stolto non la cambia mai

Grande, grande, grande Noce

500.000 euro. Tante polemiche, tante parole, eppure lui sta smentendo tutti con i fatti.

Nocerino diventa giorno dopo giorno una pedina essenziale per lo scacchiere tattico di Allegri, proprio nell’anno più difficile mai vissuto dal nostro Ringhio. E non è un discorso meramente legato alla tripletta di stasera (che è comunque tanta roba), bensì al valore assoluto che questo ragazzo sta acquisendo in questa stagione.

Come è abituato da sempre, anche quest’anno Nocerino sta costruendo le sue fortune sul sudore, sul sacrificio e sull’umiltà. Con queste caratteristiche diventa senza dubbio l’arma in più, che risulta impareggiabile anche dal punto di vista economico se si rapporta il suo costo con i 14 milioni di Vidal o i 13 di Alvarez (stasera in tribuna).

Per il resto, poco da aggiungere. Partita relativamente semplice, simile a quella con il Palermo, e che il Parma un po’ ci regala rinunciando alla prima punta e permettendoci di dominare su tutto il campo già dal primo minuto.

Ottima gestione delle risorse, Mexes è quasi pronto, Robinho ha riconquistato l’appetito di un tempo e Cassano continua a sfornare assist (un passo indietro nella prestazione globale).

Ci avviamo ad una sfida decisiva: sabato ci attende una squadra subdola, dal buon possesso palla, con un’idea di calcio teoricamente buona ma con tanti difetti. Bisogna prepararla bene, e la mano del Mister sarà essenziale.

MILAN-PARMA 4-1 (Primo tempo 2-0)
MARCATORI: Nocerino (M) al 30’ e al 32’ p.t.; Ibrahimovic (M) al 28’, Giovinco (P) al 33’, Nocerino (M) al 47’ s.t.
MILAN (4-3-1-2): Abbiati; Abate (dal 33’ s.t. Mexes), Thiago Silva, Bonera, Taiwo; Aquilani (dal 27’ s.t. Emanuelson), Ambrosini, Nocerino; Boateng; Cassano, Ibrahimovic (dal 29’ s.t. Robinho). (Roma, Yepes, Zambrotta, Van Bommel). All. Allegri.
PARMA (4-4-1-1): Mirante; Zaccardo, Paletta, Felstcher, Gobbi; Valiani (dal 10’ s.t. Biabiany), Morrone, Nwankwo (dal 16’ s.t. Jadid), Modesto (dal 27’ s.t. Pellè); Giovinco; Valdes (Pavarini, Santacroce, Galloppa, Crespo). All. Colomba.
ARBITRO: Russo di Nola
NOTE: Spettatori 36.937 per un incasso di 970.033,53 euro. Ammoniti Nocerino (M), Boateng (M) per gioco scorretto. Angoli 6-3. Recuperi 0’ p.t., 2’ s.t.

Size matters?

San Siro, ore 20.45. Turno infrasettimanale di Serie A sulla carta a noi favorevole: se infatti il Napoli riceve in casa la capolista Udinese, noi facciamo lo stesso col Parma a nove punti. Parma la cui stella dopo l’abbandono di Amauri è senza dubbio Sebastian Giovinco, un trequartista forse il più lontano possibile da quello che è stato l’eroe di Lecce: Kevin Prince Boateng, uno di quelli magari meno fisico ma “coi piedi buoni” (anche se ormai che il Boa non li abbia è quasi una leggenda metropolitana), un perno del gioco totalmente lontano da quello che è Ibrahimovic. Col Parma questa sera i tre punti sono d’obbligo per continuare la rimonta e portarci nell’unica posizione che l’AC Milan deve occupare in questo campionato: la prima. Torna a casa da Lecce un Milan che esce rafforzato dalla gara in Puglia, un Milan a cui per chiudere la gara segnando tre gol basterebbe giocare 12 minuti da Milan, minuti che per motivi motivazionali o errori tattici non si riesce molto spesso a fare da subito.

I migliori di questa – per ora tentata – rimonta, sono proprio quegli acquisti che – con molto pregiudizio – sono stati bollati come scarsi e inadeguati, piangendo con la puzza sotto il naso il grande nome che non poteva arrivare non capendo che comunque la squadra – già più forte d’italia – aveva fatto un enorme passo avanti rafforzandosi. Ma se si possono ancora nutrire dubbi sugli acquisti passati non se ne possono di certo avere più su Kevin Prince Boateng, la cui solita massa di stanche pecore bianche (cit.) aveva da subito scartato turandosi il naso per il solo fatto di essere stato preso in una operazione col Genoa e che – nella peggiore delle ipotesi – si trova ora costretta ad ammettere che è un giocatore che fa la differenza (con la postilla rosicante ‘ma solo nel mediocre campionato italiano’). Ecco, sono queste le operazioni che il Milan deve fare in futuro, non quelle del grande nome strapagato. Ed è il caso che ci si convinca anche che – il prossimo anno – sostituendo Zambrotta con Didac Vila, Gattuso con Strasser, Seedorf con Merkel e Inzaghi con Paloschi il valore della squadra rimane immutato, con però un valore potenziale che potrebbe essere sfruttato in futuro – i sostituti già li abbiamo in casa, ma ovviamente i giovani sono forti solo quando sono degli altri no? (A proposito di questo, vi ricordate quando dicevo che l’esaltato Bojan poco più scarso di un Lavezzi? Ecco ora l’avete visto fuori dal Barça….)

Dopo il mini-sermone, torniamo alla gara di stasera. Recupera Thiago Silva, che potrebbe giocare Mexes dal 1 dato il turno di riposo concesso a Nesta. Per il resto confermato l’undici del secondo tempo contro il Lecce con Abate e Antonini ai lati della difesa, Van Bommel, Nocerino, Aquilani e Boateng a centrocampo dietro a Ibra e Cassano. A mio parere un errore non lanciare Taiwo in una gara del genere e continuare a incaponirsi sul Barese troppo statico proibendo a Robinho di giocare nel suo ruolo – ruolo dove lo scorso anno ha fatto spesso e volentieri danni alle difese avversarie. Che dici Massimiliano, gli regaliamo un tempo anche stavolta o la chiudiamo subito?

Le Ultime Bandiere

Il seguente post è stato realizzato a quattro mani con Michele e pubblicato nella giornata di ieri su Football Indesit, sito con cui come già annunciato abbiamo una collaborazione nel giorno del secondo compleanno del blog. Lo potete leggere anche a questo indirizzo sul loro sito.

clip_image002 E’ di pochi giorni fa, la notizia che dopo Paolo Maldini un altro pezzo di storia del calcio Italiano, come Alessandro del Piero, lascerà la Juventus a fine stagione. Una notizia che ovviamente ha fatto scalpore – non tanto per l’attuale valore tecnico del giocatore – quanto per la storia che ha rappresentato con la maglia della Juventus.

IL TRAMONTO DELLE BANDIERE – Non sono personalmente un tipo romantico – anzi odio parlarne con quella stucchevole retorica che contraddistingue l’ambiente mediatico quando avvengono eventi di questi casi. Mi limiterò quindi a far notare come andare verso l’assenza di giocatori simbolo di una squadra sia un fatto di cui dobbiamo semplicemente prendere atto.

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UNO STILE DI VITA – La bandiera è quel giocatore senza il quale il tifoso non riesce ad immaginarsi la propria squadra, che immagina magari in un ruolo dirigenziale – se non addirittura come primo allenatore – subito dopo il ritiro. Ed è proprio il ritiro dal calcio giocato la parte più importante della carriera di questi giocatori: quando hanno un pubblico che li ama e sono arrivati all’apice di una carriera molto spesso vincente è faticoso farsi da parte, non c’è infatti nulla di più avvilente – a mio pare – che finire la propria esistenza calcistica trascinandosi in campo tra i fischi di quei tifosi che ti hanno amato per anni.

 

IL CUORE O LA CARRIERA? – Una bandiera è quindi tutto questo: non bastano le presenze con la maglia a diventare, ma un vero e proprio stile di comportamento dentro e fuori dal campo che giocatori come Baresi, Maldini, Del Piero, Zanetti, Totti e molti altri hanno sempre avuto pensando prima al bene della loro squadra e poi al proprio. Penso in particolare ad Antonio Di Natale che ha preferito una estate fa restare stella nella storia dell’Udinese piuttosto che diventare meteora in quella della Juventus.

clip_image006L’ODORE DEI SOLDI – Nel calcio moderno aumentano però i giocatori che rinunciano a queste possibilità per imparare l’inglese o perché Dio ha scelto così per loro. Scelte professionali comunque da non biasimare. Al di là delle scelte professionali, a smuovere con decisione l’animo dei calciatori sono spesso i soldi. Molti trasferimenti da cifre record hanno interrotto idilli storici. Basti pensare a Cristiano Ronaldo, calciatore simbolo del Manchester, passato alla camiseta blanca nel trasferimento record della storia del calcio. Un altro Ronaldo, il primo e inimitabile, si è venduto per 45 milioni di euro dall’Inter al Real, iniziando un viaggio che lo ha portato per sempre ad essere considerato un traditore per i tifosi neroazzurri. A Firenze hanno dovuto dire addio a tanti calciatori simbolo, due su tutti. Il primo, Roberto Baggio, passato alla Juventus, quando voleva rimanere in maglia viola, causò una vera e propria rivoluzione nella città toscana. Anni dopo a lasciare fu Rui Costa, che scelse il Milan, in un altro trasferimento record. E che dire di Nesta, capitano della Lazio, che si trasferì al Milan? Scelte di vita, scelte di carriera, ma anche scelte dettate dai soldi, per i quali, ultimo, ma sicuramente non ultimo, il trasferimento di Eto’o all’Anzhi, che ha aperto una voragine nell’attacco dell’Inter e nei cuori dei tifosi della squadra di Milano.

clip_image008UDOVICICH, UN UOMO VERO – A chiusura, è giusto ricordare un calciatore ricordato da pochi, ma che ha fatto la storia della propria società, che quest’anno è tornata in Serie A dopo tanti anni, il Novara. Si tratta di Giovanni Udovicich, nato a Fiume, storico e dinoccolato stopper degli azzurri. Ha disputato 517 presenze in 18 anni di carriera, dal 1958 al 1976. Una vita per il Novara. Si trasferì dalla Jugoslavia nella città piemontese e ci rimase per tutta la vita. Divenne un mito delle figurine, nei primi anni dell’album panini. La sua era la foto più ricercata. Baffi e pelata, tutti lo conoscono in Italia durante gli anni ’70. Lo vollero tutti, dalla Roma al Bologna, lui preferì una vita in Piemonte, a fare l’altalena con la Serie B e la Serie C. Uomini così ormai non se ne vedranno più, forse cancellati da quel business che fa muovere il mondo del pallone.

L’altra faccia della rimonta

Facciamo finta che il secondo tempo di Lecce – Milan, per un attimo, non si sia mai giocato. Facciamo finta che la partita sia terminata 3-0, al 45′: saremmo qui probabilmente a parlare di come ancora una volta la squadra abbia regalato una partita che poteva facilmente portare a casa. Due gli errori fondamentali: il primo quello di formazione (Taiwo andava schierato al posto di Antonini, Aquilani al posto di Ambrosini che – se proprio lo si voleva mettere dal 1′ – sarebbe dovuto andare al posto di Van Bommel e Boateng al posto di cassano), il secondo quello di mentalità, ovvero partire con la certezza che le vittorie con Palermo e Bate abbiano spianato la strada e che le partite si sarebbero vinte da sole.

So già che qualcuno obietterà che i ricambi a centrocampo sono quelli e che il centrocampo non è il nostro reparto forte. Vero se il punto di riferimento sono le big europee, falsissimo se sono le altre 19 squadre della Serie A. Abbiamo avuto la dimostrazione che esistono due Milan, e che la differenza tra questi è non tanto nelle gambe dei giocatori quanto nella loro testa: la squadra del secondo tempo e la squadra che si è vista contro il Palermo una settimana fa vince il campionato a mani basse.

La rimonta non deve comunque nascondere i problemi visti in campo nella giornata di ieri: un portiere che non è mai stato forte e che è ben lontano dai suoi standard dello scorso anno (comincerei a considerare la seria ipotesi di vedere Amelia tra i pali), una squadra che va forzata a giocare come sa e un allenatore che sconfessa se stesso e i suoi errori di formazione a gara in corso regalando un tempo agli avversari. Sempre che sia stato lui a schierare tale formazione – e mi riferisco alla presenza di Ambrosini in formazione dal primo minuto – che mi fa temere che anche Seedorf e Gattuso possano avere tale privilegio al ritorno dall’infortunio.

Ribadisco ancora una volta il mio credo per questa stagione: la rosa è adatta per vincere il campionato italiano a mani basse e il contratto ad Allegri va rinnovato solamente nel caso tale trofeo arrivi. Quindi contenti per i tre punti, ma occhio a non ripetere in futuro quanto fatto ieri nei primi 45′ di gara. Sono stato tra i primi ad evidenziare le cappellate di Allegri, beccandomi anche del filosocietario dalla setta degli allegriani, ora che vedo nei blog rossoneri molti utenti svegliarsi dal torpore che li ha portati a difendere a prescindere le scelte sbagliate dell’allenatore, resto qui, se volete, ad accettare le vostre scuse. Prendete il numerino e metttevi in coda.

La Boamuntada

Ciao Sic

Nel giorno in cui un grande tifoso Milanista come Marco Simoncelli va incontro a un tragico destino morendo in pista, il Milan gli regala una vittoria incredibile, assurda, pazza. Addio Sic, questa vittoria è dedicata a te.

Un primo tempo schifoso, conclusosi sotto di tre reti. Molli, lunghi, senza la minima traccia di personalità, rabbia o carattere. Errori a valanga, da Abbiati a Yepes, passando per Ambrosini e Van Bommel che non azzeccano mezza giocata e concludendo con il tridente offensivo, abulico e irritante. Una assoluta umiliazione, siamo riusciti nell’impresa di fare peggio di Torino, non pensavo fosse possibile. E la rimonta successiva non deve far dimenticare i primi 45 minuti. Non possono passare sotto-traccia, c’è da lavorare perchè non si ripetano più. Siamo i più forti, ma dobbiamo dimostrarlo partita dopo partita, non siamo a un livello tale da poterci permettere di vincere giocando al 60% delle nostre capacità.

La ripresa…bhè, la ripresa è a suo modo storica. Dentro Aquilani e Boateng ed è quest’ultimo a rivoltare la partita come un calzino. Entra, corre, tira e segna tre gol in meno di un quarto d’ora, di destro e di sinistro. Non è esattamente il mio giocatore preferito, ma tanto di cappello, prestazione mostruosa.  Tuttavia se fosse finita 3-3 non sarei rimasto soddisfatto nemmeno un po’: grande rimonta, vero, ma non è accettabile andare sotto di tre reti a Lecce. Grazie al cielo ci hanno pensato Antonio Cassano e Mario Yepes (primo gol in rossonero nella peggior partita rossonera) a farmi esplodere di gioia come non accadeva da tempo. Tutto sommato è stata anche “semplice” la rimonta, l’impressione è stata quella di una squadra che iniziato a schiacciare sull’acceleratore ma senza dissanguarsi.

Giornata speciale non c’è che dire. Come detto prima, resta un primo tempo inquietante su cui lavorare, ma vedere una reazione del genere fa solo che piacere, considerando che il difetto maggiore della scorsa stagione era stato proprio quello di non riuscire mai a ribaltare le partite in cui si andava in svantaggio. Oggi l’abbiamo fatto con una piccola impresa, la nostra Boamuntada. Domani tutti in edicola, con la Gazzetta i DVD della storica rimonta, come successe per quelli là.

Pagellone: non sono in grado di farlo. Più o meno è una media tra i 2/3/4 a raffica del primo tempo e i 7 della ripresa, escluso Boateng al quale va di diritto un 10 e lode. Malissimo l’arbitro Peruzzo, errori da una parte e dall’altra, non entro nel merito. E’ nel complesso che è stata una direzione con errori a valanga.

LECCE-MILAN 3-4 (Primo tempo 3-0)
MARCATORI: Giacomazzi (L) al 4′, Oddo (L) al 30′ su rigore, Grossmuller (L) al 37′ p.t.; Boateng (M) al 4′, al 10′ e al 18′, Yepes (M) al 38′ s.t..
LECCE (4-3-2-1): Benassi; Oddo, Tomovic, Esposito, Mesbah; Obodo, Strasser, Giacomazzi; Cuadrado (dal 35′ st Ofere), Grossmuller (dal 14′ st Bertolacci 5.5); Corvia (dal 32′ st Giandonato). (Gabrieli, Carrozzieri, Olivera, Pasquato). All. Di Francesco.
MILAN (4-3-1-2): Abbiati; Abate, Nesta, Yepes, Antonini, Ambrosini (dal 1′ st Aquilani), Van Bommel, Nocerino, Robinho (dal 1′ st Boateng), Cassano (dal 44′ st El Shaarawy), Ibrahimovic. (Roma, Taiwo, Mexes, Bonera) All. Allegri.
ARBITRO: Peruzzo di Schio.
NOTE – Spettatori 13.300. Ammoniti: Oddo per comportamento non regolamentare, Esposito e Corvia per gioco falloso, Benassi per proteste. Angoli: 5 a 3 per il Milan. Recuperi: 3′ e 3′.

Un Tabù da sfatare

Via del Mare, ore 12.30. Anticipo del mezzogiorno e mezzo che ci vede impegnati in quello che per noi è uno stadio che definire tabù è poco. Non vinciamo a Lecce dal 2001/02, con gol di Josè Mari – 4 pareggi su 5 gare dopo quella e una sconfitta nel 2006 con gol di Konan che ci costò lo scudetto (quello vero, non quello di cartone assegnato a via Durini). Centrare la prima vittoria in trasferta in quel di Lecce è quindi doveroso non solo per ricominciare la rincorsa verso il primo posto, ma per recuperare qualche punto di quelli non realizzati la scorsa stagione e chiudere anche questa a quota 82. Il saldo dice che di punti ne mancano ben sei – quelli di Napoli e di Torino ottenuti l’anno scorso, dato che con Lazio e Udinese anche nella scorsa annata si era pareggiato in casa. Due di questi – per esempio – possono essere fatti oggi, mentre altri due ci aspettano Sabato a Roma. Si entra in una settimana che per noi è già decisiva, settimana da cui dobbiamo uscire con almeno sette punti per cotinuare a sperare nella lotta scudetto – anche se vincendo oggi faremmo un bel favore a quelli là nella lotta per non retrocedere.

FORMAZIONE – Ancora assenti Seedorf e Thiago Silva, la cui botta subita col Palermo si è rivelata più grave del previsto, Allegri conferma solo la probabile presenza in squadra di Aquilani. Partirà quindi Yepes titolare di fianco a Nesta, anche se il posto sarà presto occupato da Mexes – il francese oggi potrebbe infatti già subentrare a partita in corso. Davanti forti possibilità di rivedere il trio Robinho-Cassano-Ibrahimovic con il Barese che affronterà il Lecce come se fosse un derby e Boateng che quindi dovrebbe accomodarsi in panchina. Incertezza sulle fasce, in particolare legata a Taiwo e alla sua presenza dopo i 90 minuti col Bate Borisov – anche se con Antonini a disposizione mi auguro di non rivedere Bonera in quella posizione. Van Bommel confermato cardine del centrocampo, con Ambrosini che rientra tra i convocati dove invece non compaiono i nomi di Zambrotta e Pippo Inzaghi. Largo ai giovani?

Un rossonero da raccontare… George Weah

Pallone d'Oro 1995

Ritorno dopo un po’ di tempo a postare sul blog con una storia fatta di passione e ricordi, quella del Re Leone, il diamante nero George Weah.

GLI INIZI – Weah inizia a giocare fin da giovane in Liberia, nel piccolo campionato della Liberian Premier League. Più dell’80% delle squadre di questo campionato africano provengono dalla città di Monrovia. La carriera di George inizia con la maglia del Mighty Barolle, nel 1985-86 ed è subito scudetto. Con 7 gol in 10 partite Weah contribuisce alla vittoria del campionato. L’anno dopo viene ceduto all’Invincible Eleven dove vince il decimo scudetto per la formazione della città di Monrovia, riuscendo a segnare ben 24 gol in 23 partite. E’ qui che si guadagna la fama continentale, giocando nella successiva stagione a metà tra squadre della Costa d’Avorio e del Camerun.

VIVE LA FRANCE – Come molti giocatori africani, anche Weah emigra in Francia, dove conosce il calcio europeo. Qui veste le maglie di Monaco e Paris Saint Germain, conquistando uno scudetto con i parigini, 3 Coppe di Francia e una Coppa di Lega francese. In una partita europea tra Milan e Paris S.G. Weah viene limitato dalla difesa del Milan, ma Braida confida in lui e lo porta a Milano per il dopo Van Basten, dopo la vittoria della scarpa d’oro nella Coppa dei Campioni.

UN LEONE PER IL DIAVOLOElegante come una gazzella, potente come un leone, veloce come un ghepardo. Così si può riassumere la classe di Weah con la maglia rossonera. Appena arrivato vince subito il Pallone d’Oro, primo e unico africano nella storia del calcio a conquistare l’ambito trofeo. Il 27 agosto del ‘95 a Padova entra nella storia fornendo l’assist decisivo per l’ultimo gol con la maglia del Milan in campionato per Franco Baresi, che si sarebbe ritirato 2 anni più tardi. E poi? Il miracolo, in uno dei più bei gol mai visti a San Siro. Verona, 8 settembre 1996. Calcio d’angolo per il Verona, palla recuperata da Weah nell’area di rigore, accelera, una veronica e… non lo ferma più nessuno. Aumenta la falcata.. una lunga corsa verso la porta… 80 metri di pura potenza, classe, estro, precisione, tecnica e genialità. Col Milan vince 2 scudetti e regala tante emozioni.

DOPO IL MILAN – Chiude la carriera da nomade, dopo 4 stagioni e mezzo nel Milan. Prima in Inghilterra, dove non lascia il segno, poi torna in Francia a Marsiglia, infine si regala qualche soldo e un’ultima stagione nel campionato degli Emirati Arabi, con la maglia dell’Al-Jazira. Nel 1999 ha vinto il riconoscimento di Calciatore africano del secolo.

UN AMORE CHIAMATO LIBERIA – Weah ha sempre amato la propria nazione. Da calciatore ha portato per la prima volta nella storia della sua nazionale la Liberia alla fase finale della Coppa D’Africa, nel 1996. Quella Coppa d’Africa fu ricordata per essere stata la prima vinta dal Sudafrica (dopo la fine dell’Apartheid) che organizzò la manifestazione ritornando in un torneo ufficiale dopo l’espulsione dalla Fifa del 1976. George investì tempo e denaro nella nazionale della Liberia, cercando in tutti i modi di farla qualificare per i mondiali di calcio del 2002, ma per un solo punto non ci riuscì. Tuttavia la Liberia riuscì a partecipare un’ultima volta alla Coppa d’Africa 2002. Oggi è un politico e grande figura umanitaria, simbolo non solo calcistico, ma esempio in Africa e per tutto il mondo.

Destinazione Monaco – 6° puntata: Niente sorprese

Il Napoli ferma il Bayern Monaco sull'1-1

Una giornata, la terza della fase a gironi di Champions, che certamente non passerà alla storia per qualche risultato eclatante. Le grandi hanno vinto, le piccole hanno dovuto soccombere, le rivelazioni si sono, chi più chi meno, confermate. Ma, nel complesso, tutto ha confermato i trend delle prime due giornate.

Si parte martedì, con i primi quattro gironi in ordine alfabetico: nell’A, il gruppo del Napoli, gli azzurri riescono a tenere botta ai favoriti del Bayern Monaco. In un clima, con due tifosi del Bayern accoltellati, non certo all’insegna della calma e dello spirito sportivo – ma mi ci sto abituando -, al pronti-via sono subito i tedeschi a segnare con Kroos. Per la prima mezz’ora è ancora il Bayern ad attaccare, ma a fine primo tempo il Napoli esce dal torpore e riesce a portare il risultato sull’1-1 con una fortunosa autorete di Badstuber (tocco da attaccante consumato, con il semplice difetto che era diretto nella propria porta). 1-1 dal quale il risultato non si schioderà: nel secondo tempo sarà De Sanctis soprattutto a salvarlo, parando un rigore. Nell’altra gara del girone: il Manchester City, in una gara tutta all’attacco, riesce solo al 93° a ribaltare il vantaggio iniziale del Villarreal. Gli spagnoli rimangono a 0 punti, ma il City, pur vincendo, non supera il Napoli: finisse così, sarebbero Hamsik e compagni a passare con il Bayern.

Non tanto più spettacolare, nel gruppo B, la gara della seconda squadra della nostra città: un gol al 21° di Pazzini altro non è che uno dei pochissimi spunti offensivi in una gara votata al difensivismo più becero, che solo grazie alla scarsa mira dimostrata da Hazard e compagni. Ma tant’è, 3 punti e Ranieri sta. E, in qualche modo, si trovano persino in testa in questo girone da Europa League (l’Udinese e il suo girone ci scusino per l’increscioso e sminuente paragone): il Trazbonspor, giusto a sottolineare da chi sono stati battuti, è stato alle 18 italiane annichilito dal CSKA Mosca con 3 gol, due dei quali di Doumbia (capocannoniere del torneo). Per quanto riguarda gli altri due gruppi del martedì, nel girone C il Manchester si riporta in zona qualificazione vincendo contro la vittima sacrale Otelul Galati (un solo gol segnato in queste tre partite) e approfittando di un Basilea che, a causa anche di un Alexander Frei spuntato, si sgonfia e perde 2-0 con il Benfica. Nel gruppo D, il Real Madrid si diverte col Lione e l’Ajax batte 2-0 la Dinamo Zagabria: a segno anche Eriksen, nostro obiettivo di mercato (a ulteriore conferma della mia convinzione che vada preso).

Arriviamo dunque a mercoledì. Inizio dal gruppo H, quello dei ragazzi: il Barçellona, ancora secondo nel girone, vince 2-0 contro il Viktoria Plzen. I cechi si dimostrano meno materassi del Bate, ma la vera causa di un risultato fin troppo “umano” rispetto alle aspettative è la scarsa finalizzazione, con Messi alla ricerca del gol e tutti gli altri a cimentarsi in tocchi di sufficienza. Disattenzioni che si potrebbero benissimo pagare: questo Barça, a differenza di quanto oramai sembra quasi obbligatorio dire, è battibilissimo, o almeno pareggiabile. Soprattutto giocando in casa (e i catalani sono una squadra molto condizionata dal fattore campo) e con la testa a posto. Procedendo a ritroso, troviamo il cortissimo gruppo G. Due pareggi, ma di diversa fattura. Spettacolarissimo il primo: 2-2 tra Shakhtar e Zenit, con almeno una dozzina di occasioni da gol per parte ed un Rybka (portiere degli ucraini) protagonista con alcune parate strepitose, tra cui quella su un rigore di Shirokov. Lo Zenit resta dunque in scia dell’APOEL di Nicosia: i ciprioti hanno pareggiato 1-1 con il Porto (Hulk e Ailton nel primo tempo) e si portano a cinque punti.

Il Chelsea fa a fettine il Genk

Negli ultimi due gruppi, il girone F vede un Marsiglia che accarezza il primo posto del girone per 91 minuti. Solo idealmente, però: non ha il tempo nemmeno di pensarci, costretta così costantemente nella propria tre quarti dall’Arsenal. Al 92°, con già il fischietto in bocca all’arbitro, Ramsay mette la palla dello 0-1: la zona Cesarini, questa volta, ha arriso alle inglesi. Nello “scontro tra povere”, l’Olympiakos batte per 3-1 il deludente Borussia Dortmund: un buon primo tempo da parte dei tedeschi, poi però sgonfiatisi nella ripresa. Ultimo, ma non per importanza, il gruppo E: se il Bayer Leverkusen è riuscito con un grande secondo tempo a rimontare l’1-0 del Valencia, la vera grande partita è stata quella del Chelsea. 5-0 al Genk e tutti a casa: quattro delle cinque reti nel primo tempo, con Raul Meireles, due reti di Torres (finalmente sbloccatosi dopo una metà di stagione orribile l’anno scorso) e Ivanovic. Secondo tempo quasi di riposo per la squadra di Vilas Boas, con solo il gol di Kalou a spezzare la noia.

In conclusione, niente si muove e niente di così tanto importante c’è da dire: la quiete – direi – prima della tempesta. Un momento di transizione, ma dalla prossima si ritorna a picchiar duro.

Ab-bat-tuti

Per il dispiacere dei gufi quest anno a San Siro non ci saranno Zurighi. Il Milan si sbarazza infatti, dopo del Viktoria Plzen, anche del Bate Borisov e lo fa con una facilità figlia di quella della vittoria col Palermo e ben lontana dalle difficoltà mostrate tre settimane fa contro i Cechi. Una vittoria figlia ancora una volta del possesso palla e del centrocampo – dove Nocerino e Aquilani si confermano in crescita e di un ritrovato Abbiati fra i pali nelle poche occasioni concesse ai bielorussi

PRIMO TEMPO – Nel 4-3-2-1 di Allegri c’è posto per Taiwo sulla fascia sinistra dal 1′, non per Robinho relegato alla panchina e – forse – risparmiato per Lecce. Dietro le punte torna quindi Boateng mentre Bonera prende il posto di Thiago Silva al centro della difesa. Subito chiaro nei primi minuti il copione della gara – col Milan a fare la partita e i bielorussi a provarci in contropiede arriva dopo 4′ la prima occasione con Aquilani che tira poco fuori dallo specchio al limite dell’area piccola: sarà proprio il romano ex Juventus al 12′ a prendere un palo con il gol che sembra sempre più aleggiare nell’aria di San Siro. Esce invece il Bate dopo 20 minuti e si rende pericoloso al 32′ quando su un rinvio, con sufficienza, di Abbiati Van Bommel perde il pallone a centrocampo ma Bressan si fa ipnotizzare da Abbiati. Vale però la legge del calcio – gol sbagliato, gol subito – e Ibrahimovic punisce subito raccogliendo una palla al limite dell’area e insaccandola al volo alle spalle di Gutor.

SECONDO TEMPO – Il Bate prova il forcing per cercare il pareggio in avvio di ripresa, Abate perde palla passandola in orizzontale ma Abbiati riesce a parare anche Bordachev. Salta il pressing della prima parte di gara, il Bate riesce a trovare spazio a centrocampo, complice la corsa di Nocerino e Taiwo che lascia scoperta molto spesso la difesa. Esce Cassano, entra Robinho – segnale che Allegri la vuole chiudere, ma riesce a farlo solo una decina di minuti dopo quando Kevin Prince Boateng mette a segno un gran diagonale dalla distanza che colpisce la traversa e si insacca in porta, cogliendo il primo gol in Champions League. Da quel momento in poi solo passerella, che vede anche Philippe Mexes esordire con la maglia del Milan e ritornare in campo dopo il pesante infortunio al crociato. Vince anche il Barcellona in casa contro il Viktoria con lo stesso risultato ottenuto dai rossoneri tre settimane fa a San Siro – ponendo un solco importante nel girone H che ora vede il Milan al comando a 7 punti – gli stessi del Barcellona e Bate e Viktoria a sei lunghezze di distacco.

CONSIDERAZIONI – La migliore l’ha fatta Galliani nel postpartita a Sky: “quello con 12 giocatori fuori non era il Milan“. Troppi i giudizi sparati a casaccio su una squadra incompleta e partite disputate in una precaria condizione fisica. Buona la prova di Taiwo, anche se rivedibile la fase offensiva – soprattutto in fase di finalizzazione, buona anche quella di Aquilani finalmente nel suo ruolo e di Nocerino in crescita. Insomma i tre acquisti non sono le pippe che qualcuno ha voluto credere che fossero ma tre buoni innesti che devono solo attecchire in questo Milan. La squadra sta crescendo di condizione riuscendo a mantenere possesso palla e pressing alto per tratti della gara. Molta sufficienza in fase difensiva, con alcuni errori evitabili che potevano essere fatali con squadre di caratura superiore. Sufficienza stirata anche per Bonera nettamente preferibile al centro della difesa piuttosto che in posizione di terzino sinistro – posizione che con Taiwo, Antonini e Zambrotta in questo ordine rigoroso mi auguro non vada più a occupare. Non siamo comunque al Top, ma in questo momento e per la caratura delle avversarie che andremo ad incontrare fino alla sosta la condizione attuale può bastare e avanzare, per quanto riguarda invece la Champions League, il primo posto del girone del Barcellona diventa sempre più una concreta possibilità, e non più un miraggio irraggiungibile.

MILAN-BATE BORISOV 2-0 (Primo tempo 1-0)
MARCATORI: Ibrahimovic al 33’ p.t.; Boateng al 25’ s.t.
MILAN (4-3-1-2): Abbiati; Abate, Nesta (dal 40’ s.t. Mexes), Bonera, Taiwo; Aquilani, Van Bommel, Nocerino; Boateng (dal 33’ s.t. Emanuelson); Cassano (dal 17’ s.t. Robinho), Ibrahimovic. (Amelia, Zambrotta, Antonini, Yepes). All. Allegri.
BATE BORISOV (4-4-1-1): Gutor; Yurevich, Simic, Radkov, Baga; Kontsevoi, A.Volodko, Likhtarovich (dal 21’ s.t. Olekhnovich), Bordachev; Bressan (dal 32’ s.t. Pavlov); Kezman (dal 26’ s.t. Skavysh). (Chesnovski, Gordeychuk, Aleksiyan, Kurlovich). All: Goncharenko.
ARBITRO: Hagen (Nor), assistenti Nebben e Andas.
NOTE: spettatori 66.040 per un incasso di 1.612.314,00euro. Ammoniti Nocerino per c.n.r., Bordachev, Simic per gioco scorretto. Angoli 6-4-. Recuperi: 1’ p.t., 3’ s.t.

Bat-tiamoli!

San Siro, ore 20.45. Siamo o non siamo quelli del Palermo? L’occasione per saperlo arriva subito, a soli tre giorni dalla bella vittoria di Sabato. L’avversario il Bate Borisov – campione di bielorussia da cinque anni ininterrotti a completare, dopo il Viktoria, il poker di campioni nazionali che – secondo la logica mourinhana – rende il girone H il più difficile della Champions League. Due i precedenti – nella lontana coppa UEFA del 2001/02: 4-0 a San Siro e 2-0 a Minsk – troppo lontani per fare testo se non per certificare quanto stasera sia necessaria una vittoria che – con la scontata e contemporanea vittoria del Barcellona ci permetterebbe una agile qualificazione – quasi aritmetica a meno di catastrofi nel girone di ritorno.

Attenzione però ai bielorussi che già misero in difficoltà la Juve nell’ultima esperienza in Champions League dei bianconeri e che arrivano da un risultato bugiardo – lo 0-5 contro il Barça, bugiardo per il motivo che tre di quei gol sono arrivati da distrazioni ed errori individuali (papere) che difficilmente rivedremo stsera. A questo aggiungiamo che il Bate – realisticamente impegnato nella corsa al terzo posto – punterà a strappare lo 0-0 da Milano colpendo in contropiede e snaturando il suo 4-3-3 abituale in un 4-1-4-1 o 4-5-1 che dir si voglia, insomma un catenaccio come quello già visto dai cechi tre settimane fa.

Più che a una gara di Champions quindi assomiglierà ad una di campionato – e per questo non si può non fare a meno di Ibrahimovic prima sicurezza dell’attacco rossonero di fianco al ritrovato Robinho – concedendo così un turno di riposo a Cassano in vista della gara contro il Lecce – per lui un autentico derby. Dietro di loro Boateng sulla trequarti, Aquilani e Nocerino con Van Bommel (Seedorf ancora non convocato per l’infortunio) mentre in difesa dovrebbe esserci un turno di riposo anche per l’acciaccato Thiago Silva (niente di grave – domenica sarà in campo regolarmente) con Nesta e Yepes in campo dal 1′, Abate e Antonini sulle fasce – mentre Mexes scalpita in panchina, pronto ad esordire con la Maglia rossonera.

Chiudo il post facendo un altro ringraziamento – se infatti ieri bari2020 vi ha presentato la nostra pagina Facebook che curerà personalmente oggi è il momento di twitter – su cui siamo attivi da più di sei mesi e sul quale nella giornata di ieri abbiamo superato i 500 followers rimanendo per distacco il blog milanista con più seguito (248 followers Milannight, 148 Milanday) sulla piattaforma twitter. Complimenti a tutti, sperando di vedervi più attivi anche sul blog!

Un matrimonio che s’ha da fare?

Quando il Napoli perde amo sentire le interviste a Mazzarri. Quando vince con un errore arbitrale incredibile pure. E’ bello – ad esempio – come quando vinca solo grazie al direttore di gara, ad esempio contro la seconda squadra di Milano a San Siro “succede un po’ a tutti di subire qualche errore“. E’ altrettanto più bello e divertente però vederlo parlare quando altre squadre come il Parma sabato sera. Spettacolare l’intervista in particolare a Mediaset – nella quale il nostro Walterone riesce ad ammettere finalmente – con fatica – che non esisteva il rigore su Lavezzi tanto decantato pochi minuti prima ai microfoni di Sky e che – a suo dire – avrebbe completamente ribaltato la partita. Ovviamente “Lavezzi non è che simula, è che è veloce” dato che non si può ammettere proprio tutto, fermo restando le lamentele a Sky per la “cattiva gestione dei cartellini gialli“.

Ma è in particolare una frase dell’ex-allenatore della Reggina che fa semplicemente ridere: “La squadra che fa la partita deve essere tutelata“, ribadita peraltro il giorno dopo anche da Conte nel postpartita di Chievo-Juventus. Cazzata? No, prendiamola per seria e discutiamone. Discutiamone anche del fatto che – ad esempio – se la squadra che fa la partita deve essere tutelata allora è da rivedere l’atteggiamento tattico dello stesso Mazzarri messo in campo contro il Milan: un gioco da provinciale, un catenaccio e contropiede alla anni 50 che gli ha permesso di portarsi a casa i tre punti (anche grazie ad alcune scelte discutibili – ma succede un po’ a tutti di subire qualche errore). Più in particolare mi chiederei perché tutto ciò non sia venuto fuori nelle stagioni dal 2007 in poi, quando ha trionfato il calcio fisico e la squadra che faceva la partita – nell’accezione noi – incorreva in un sacco di pareggi e sconfitte contro le piccole, ma non per questo Ancelotti andava a chiedere tutela.

Il Napoli purtroppo per i media è una risorsa da sfruttare: 5 milioni e mezzo di tifosi che solo pochi anni fa erano in serie C. 5 milioni e mezzo di potenziali copie vendute o abbonamenti alla Pay TV – devono solo scegliere tra Gazzetta e Corriere, tra Sky e Mediaset Premium. Sarà per indurli alla scelta della propria fazione che del Napoli non si è mai vista una vera analisi obiettiva, almeno in TV ma una serie di complimenti a volte al limite del paraculo – vedi quando si diede la sconfitta a San Siro per 3-0 senza mai tirare in porta come colpa unicamente di un rigore – peraltro netto (oltre al fatto che a differenza dell’Inter il ciuccio quella gara la finì in 11). Personalmente quando Cattaneo nel postpartita di sabato (anche qui – scelta editoriale di Sky di trasmettere sul canale principale due volte il Napoli quando gioca il Milan in contemporanea nell’anticipo per arruffianarsi qualche tifoso) ha dato corda a Mazzarri parlando anche di episodi penalizzanti per il Napoli contro la Fiorentina e l’Inter ho cambiato canale per qualcosa di più imparziale – come ad esempio il Tg4 o Studio Aperto.

A questo punto i lettori più acuti si chiederanno cosa c’entra il matrimonio – la risposta è presto fatta. Se da una parte è l’allenatore ieri la copertina della gazzetta (RCS Sport, partner Inter) ha dato ampio risalto al Moratti furioso con gli arbitri – rosicate che da parte di un signore come Ranieri raramente si sono viste fare. Penso che per loro Mazzarri sia l’allenatore più adatto – almeno dal punto di vista umano. Si adatterebbe infatti perfettamente alla politica nerazzurra: mistificazione dello stato attuale della rosa, lamentele preventive con l’arbitro e analisi della gara a senso unico – ovvero senza mai concedere un merito all’avversario. Non si sono per ora ancora incontrati – ma penso sia inevitabile che prima o poi lo facciano, e sono convinto che ci divertiremo come matti quando ciò accadrà.

Dalle stalle alle stelle

La palla si insacca e il milanista gode

È stranissimo vedere come in soli due giorni tutta la percezione che si ha di una squadra, di un progetto, di una stagione, possano cambiare. Stranissimo, ma bellissimo: bello quanto vedere che tutte le critiche dei giornali, tutti gli avvoltoi pronti a cibarsi del cadavere di una squadra già data per morta, tutti i biancoazzurroneri quasi soffocati dalle risate, sono stati messi a tacere e cacciati via a pedate. Ancora più sonore per coloro che, dopo averci guardato per settimane dall’alto in basso, sono andati a perdere o ad impattare contro squadre di valore Modesto (il maiuscolo, visto il tabellino di sabato sera, è d’obbligo).

Perchè il godimento di vedere i propri eroi vincere non è niente, senza quello di osservare finalmente, dopo tante peripezie, i mostri con cui si è combattuto morenti. E, se forse non si può dire ciò del Napoli – un passo falso, è sempre gradevole vedere De Laurentis lamentarsi e Mazzarri piangere ma, senza controprova, resta un passo falso isolato, si può sicuramente dire ciò dell’Inter: nemmeno il quinto allenatore in diciotto mesi (si punta ad emulare gli anni di Lucescu-Simoni-Castellini-Hodgson?) riesce a risolvere i problemi di una squadra abulica, senza gioco e troppo legata al rendimento e alla presenza di un giocatore – ovviamente Sneijder. Che non è manco tutto questo campione, ma, in mezzo alla mediocrità generale…

Ma, tra le due squadre di Milano, voglio ovviamente parlare della prima. Che sabato sera ha offerto a chi la stava osservando la prova di forza che ci si aspettava. Palla sempre in movimento, percentuali di possesso bulgare, occasioni, gioco, compattezza, un avversario costretto nella propria tre quarti come Vercingetorige ad Alesia e tre gol che sarebbero potuti persino essere di più. Tanto si è parlato nell’ultimo mese della “lezione di gioco” che avremmo ricevuto dal Barçelona (anche se raramente mi risulta che una lezione di gioco si sia conclusa con un 2-2): beh, a vedere il Milan di sabato, si potrebbe dire che quella lezione l’abbiamo studiata bene.

Ma così come il Barça, pur grande, necessita di Messi per essere imbattibile, anche i nostri hanno un bisogno vitale di un condottiero in forma: e tale è, ogni anno di più, Zlatan Ibrahimovic. Quella di sabato è stata forse una delle migliori partite da uomo-squadra della carriera di Ibra: non si è dimostrato pericoloso in fase di finalizzazione, ma ha sfornato passaggi, verticalizzazioni, invenzioni ed assist. Sembra la classica descrizione da giornale, ma è la realtà. Le cassandre avevano già emesso i loro impietosi verdetti, ma ora ho le prove per dissentire. Questo Ibra – correggetemi se mi sbaglio – non mi sembra proprio il depresso descritto dai giornali.

Rossonerosémper è su Facebook

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