Il problema derby

Nel ciclismo in questo momento il ciclista di punta del movimento è Tadej Pogacar. Non è il campione del mondo, non è il campione in carica del Tour de France ma è indubbiamente il faro del movimento. C’è però un altro ciclista – forte, ma molto meno forte – che è Jonas Vingegaard che si prepara per fare il tour de France, batte Pogacar e i suoi fan pretendono che questo venga riconosciuto indiscutibilmente come prova che è il numero 1 mondiale, rosicando ed attaccando chi non la pensa così. Perché parto con questo pippone sul ciclismo? Perché in Serie A succede la stessa cosa con gli interisti dove il Tour de France è il derby e la voglia di autocelebrazione e riconoscimento su chi è meglio di te per averlo battuto una o due volte l’anno è la stessa.

Per loro il derby è l’obiettivo, un po’ come l’Espanyol, l’Atletico Madrid o il Torino, per noi è solo un mezzo per cercare di vincere un trofeo. Non è infatti inusuale che quando noi vinciamo un derby pesante alla fine poi arriva il trofeo mentre le loro vittorie fanno spesso numero e non portano a nulla. In fondo, se ci pensate, sono proprio le tifoserie mediocri che cercano la rivalutazione sul singolo episodio e non sulla stagione quindi il loro folklore da ossessionati ed invasati è proprio quello che li caratterizza.

Il problema è che questo si trasmette ai giocatori in campo – che di fatto sono diretta emanazione dell’ossessione societaria e dei tifosi nei confronti del cugino bello e vincente. E’ un dato di fatto che per fortuna o purtroppo i nostri non sentono i derby come i loro dai tempi del primo Ibra. Questo, ogni volta, ci porta ad avere dei derby in salita – quando siamo molto meglio di loro come all’andata nello scorso campionato o al ritorno nell’anno dello scudo, vinciamo di misura e soffrendo. Quando siamo al loro livello come negli ultimi 4 non riusciamo mai a sbloccarla anche nei singoli episodi e finiamo sconfitti.

C’è forse una mancanza di responsabilizzazione della tifoseria a staff tecnico e giocatori nell’affrontare il derby? Forse, troppi tifosi si lamentano dicendo che l’Inter è molto più forte – eppure fuori dai derby i risultati sono simili, anzi, contro le altre big italiane, Juve e Napoli su tutte, probabilmente noi abbiamo fatto molta meno fatica dell’Inter. Semplicemente il modo di giocare dell’Inter si adatta molto al nostro modo di giocare, molto europeo e molto simile a quello del City che in finale ha faticato contro l’Inter – vincendo forse anche immeritatamente (ma godo ancora tre mesi dopo, anzi forse anche di più proprio per questo).

Il copione dei derby è sempre lo stesso: Inter compatta dietro, palla al Milan sempre sbilanciato, recupero alto e ripartenza. L’unica volta che Pioli ha provato qualcosa di diverso (il ritorno in campionato) è stato massacrato dai tifosi ma quello poteva essere un modo per giocare – con Leao davanti, però, non Origi. In quel derby infatti c’è una occasione per parte, Lautaro la segna, Giroud no. E’ proprio il segnare prima che porta all’Inter enormi vantaggi poi nella gestione tattica della partita come potersi mettere dietro e non subire quasi mai gol – gli stessi euroderby dipinti come dominati finiscono con possesso ed occasioni comparabili tra le due squadre nonostante una narrativa differente.

La Fiorentina ha dimostrato che se attendi l’Inter alta finisce male – non è un caso che l’Inter lo scorso anno ha faticato con le piccole (13 sconfitte) perché se non trova spazi a sua volta viene neutralizzata a meno che Dzeko non inventi qualcosa. Come preparare quindi il derby? Belli bassi cercando spazio, evitando di farsi pressare (spazzando invece che rischiare di perdere alto) e lasciando campo a Leao – un po’ come col Napoli al ritorno in Champions. Poi finirà come finirà non sarà certo un derby in più o in meno che cambia la storia tra una squadra che ha più del doppio delle Champions dell’altra.

In fondo alla fine per i professionisti delle linee di credito pluriennali ad interessi da strozzini, il derby è l’unica possibilità di riconoscimento che hanno. Battere il Milan, digrignarsi e mugugnare come scimmie per una settimana con post celebrativi dell’account che dice Milano siamo noi – potrebbe anche postare del terrapiattismo, sarebbe la stessa cosa. Poi c’è la realtà e fuori dalla nicchia del derby, in fondo, quel riconoscimento territoriale su Milano non glielo dà e non glielo darà mai nessuno. Un po’ come nessuno lo darà mai a Jonas Vingegaard.