Maggio, il mese delle finali di Champions, il mese che ci ha dato tante gioie e anche qualche brutta delusione. Quest’anno ad arrivare in finale sono state le due squadre di Madrid, in un inedito derby. L’ha spuntata il Real come sappiamo, il Real del nostro Carlo Ancelotti, che anche questa volta si prende le sue belle rivincite su chi lo ha da sempre snobbato.
L’hanno descritto come lo scontro tra i poveri e i ricchi, tra la periferia e il centro, tra il cuore e i soldi. Riduttivo e fuorviante, senza dubbio, perché c’è tanto altro dietro. Certo, la stagione dell’Atletico è come una favola, un sogno diventato realtà, e questo per merito di un allenatore che ha fatto rendere ogni elemento della sua rosa al 110% delle sue possibilità. Ovviamente ci vuole il cuore, ed anche le palle, per arrivare dove sono arrivati, ma anche un po’ di buona sorte, come quella che è servita per vincere l’andata degli ottavi a San Siro.
Esaurito il conto con la sorte, ed esaurite le riserve energetiche, i materassai si sono sciolti come neve al sole, cospetto di una squadra più solida, meglio costruita e, sopratutto, con una rosa nettamente superiore. Questo, se mai ce ne fosse bisogno, ci dice che non bastano le belle parole per arrivare al top, non bastano i “progetti” reali o teorici, servono gli investimenti, corretti e mirati, e serve unirsi per lottare tutti insieme verso lo stesso obiettivo. Dall’Atletico, come dal Real, bisogna probabilmente cogliere l’elemento più importante, talvolta sottovalutato dalle nostre parti: l’allenatore. Sia che si tratti di una rosa di giocatori “poco pagati” e non così alla ribalta, sia che si tratti di una rosa di campioni super pagati e con stipendi faraonici, il ruolo di chi li guida è essenziale.
Simeone, come detto, ha avuto il merito fi motivare il gruppo in un modo fantastico, spingendo ognuno oltre i propri limiti; ha dato importanza alla condizione fisica, elemento imprescindibile per lottare ad alti livelli, e alla tattica, ammettendo i limiti della squadra per remare nella giusta direzione. Ancelotti, invece, ha avuto il grande merito di ricompattare uno spogliatoio complicato, fatto da tante prime donne e in cui l’umiltà non trovava facilmente spazio. Li ha cambiati, li ha motivati, li ha messi nel ruolo dove rendono meglio e poi ha detto: adesso fate vedere a tutti cosa sapete fare, dimostrate realmente il vostro valore.
Non so chi abbia avuto il compito più semplice in realtà, l’unica certezza è che l’allenatore ha avuto in queste due squadre un ruolo centrale, sia stato la chiave di volta senza la quale l’intera costruzione cade a pezzi. Prendiamo spunto da questo, più che dal fantomatico “progetto”, prendiamo spunto dall’unità di intenti, dal cuore e dalla voglia di raggiungere realmente gli obiettivi. Basta orgoglio personale, basta parole a vanvera: questo è il modello da seguire!!!