Storie di Europeo: le origini del torneo continentale

L'URSS vince il primo Europeo nel 1960

Contrariamente al campionato del mondo la storia di quello d’Europa è molto più breve. Un torneo europeo, chiamato Coppa Internazionale, si disputava, infatti, già dal 1927 con cadenza triennale tra Austria, Italia, Ungheria, Svizzera e Cecoslovacchia. Nel 1954 l’allora segretario generale della UEFA, Henry Delaunay, a cui la coppa che alza al cielo la squadra campione d’Europa è intitolata, propose di creare un campionato europeo ufficiale per nazioni. L’inizio tuttavia non fu facile con il rifiuto di Italia, Inghilterra, Scozia e Germania Ovest di aderirvi – il torneo era a quattro squadre, tra le 17 iscritte alle qualificazioni e, diversamente da quanto accade oggi, solamente conosciuti i nomi delle quattro finaliste veniva assegnata ad una di esse l’organizzazione della fase finale.

La scelta cadde sulla Francia che ospitò quindi URSS, Cecoslovacchia e Jugoslavia: il 6 Luglio del 1960, alle ore 20.00, si gioca quindi la prima partita ufficiale dei campionati Europei a Marsiglia dove l’Unione Sovietica, che si qualifica al torneo d’ufficio dopo il forfait della Spagna di Franco che rifiutò di spedire la propria nazionale calcistica a giocare nella Mosca comunista. La prima semifinale a Marsiglia vede quindi l’armata rossa eliminare facilmente la cecoslovacchia per tre reti a zero, mentre due ore dopo di fronte ai centomila del parco dei Principi, quindi, la Francia priva dei suoi migliori elementi – Fontaine, Piantoni e Kopa – perde la semifinale per 5-4, dopo essere stata in vantaggio per 4-2 a metà della ripresa. La Francia perde quindi per 2-0 anche la finale 3° e 4° posto contro la Cecoslovacchia lasciando la finale ai rossi: URSS e Jugoslavia. La partita si rivela equilibrata con l’Unione Sovietica di Lev Jašin, ancora oggi il miglior portiere della storia del calcio, ad alzare al cielo la coppa dopo i tempi supplementari – l’europeo si conclude invece con un fallimento a livello organizzativo dati i soli 20.000 spettatori ad assistere ad una finale priva della squadra di casa.

La Spagna campione 1964

Proprio la vittoria dei sovietici, quindi, causa un moto di rivalsa del blocco occidentale nella seconda edizione dei campionati organizzata quattro anni dopo che vede anche Italia e Inghilterra ma non la Germania Ovest per via del tecnico Seep Herberger,  contrario a ogni manifestazione ufficiale che non siano i Campionati del Mondo. Nelle qualificazioni l’Italia (dove giocavano, tra gli altri, Maldini, Facchetti, Rivera, Mazzola e Bulgarelli) viene eliminata proprio dai campioni in carica (2-0; 1-1) – alla fase finale arrivano la Danimarca (eliminando Malta, Albania e Lussemburgo), l’URSS (eliminando dopo l’Italia la Svezia), l’Ungheria (eliminando Galles, Germania Est e Francia) e la Spagna (eliminando Romania, Irlanda del Nord ed Eire) a cui viene affidata l’organizzazione della seconda fase finale della storia del Torneo. Le quattro gare sono ovviamente equipartite tra i due stadi ancora oggi simbolo della Liga: il Santiago Bernabeu ed il Camp Nou. Se la Danimarca nulla può contro i campioni in carica dell’Unione sovietica (3-0 netto) più coinvolgente è la gara tra la Spagna e l’Ungheria con il tecnico Villalonga che tiene in panchina il blocco del Real pentacampione d’Europa (che comprendeva, tra gli altri, Puskas e Di Stefano) preferendo un gioco improntato sulla corsa e sulla grinta. Si arriva quindi in finale di fronte ai 125.000 del Santiago Bernabeu con la Spagna di Luis Suarez che riesce dopo un primo tempo equilibrato a spuntarla per 2-1 con un torneo finalmente decollato anche mediaticamente, in attesa per noi della prima vittoria italiana, che non sarà poi tanto distante.

2 commenti

  1. Corretta l’analisi storica di un torneo nato tra assurde contapposizioni di sport e politica. Il nobile francese Pierre de Frédy, barone di Coubertin, ideò le Olimpiadi onde coinvolgere, in sfide sportive, atleti di tutti i Paesi. Questo doveva servire a stemperare tensioni e rivendicazioni politiche. Lo sport inteso come veiolo di sana rivalità sportiva e di pacificazione. Ai nostri tempi siamo arrivati alla mercificazioni delle attività sportive, intese come vere e proprie professioni, anche in attività con poco o nessun seguito di pubblico. In questo modo ci siamo avvicinati ai modelli URSS e DDR dove gli atleti erano una sorta di impiegati statali. Anche il calcio è degenerato, con la sentenza Bosman, e gli investimenti sul ‘capitale umano’ sono a fondo perduto. Andrebbero posti dei rimedi ma con questi dirigenti, Uefa e Fifa, sarà difficile trovare soluzioni illuminate. Allora a giusta ragione le società avversano queste manifestazioni di pseudo orgoglio nazionalista. Ci vorrebbe maggiore equità e non soltanto per modificare regole e regolamenti arcaici. Un barlume di speranza viene da quel calcio e da quegli atleti che mostrano attaccamento alla maglia azzurra, o altra, non solo per senso ‘carrieristico’. Cancellando l’immagine di vestire ‘quella maglia’ allo scopo di maggiori guadagni e trascurando così, del tutto, lo spirito sportivo. Eppur si muove! Gli sportivi sono stufi di assistere a giochetti ed intrallazzi di potere come è sembrato l’ultimo torneo di calcio. Ma chiudo qui con una speranza ed un W gli Europei degli atleti e W lo sport praticato nel senso e nello spirito ‘decuberiniano’!

  2. Intanto conferenza interessante di Galliani, la analizzeremo con cura domani.

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