Più forti ma non abbastanza. E senza ambizioni di vittoria.

Si è chiuso oggi il mercato che avrebbe dovuto riportare il Milan stabilmente nelle prime quattro – il primo mercato dove il Milan ha liquidità e ha l’appeal del giocare la Champions League, la più importante competizione Europea per club. E’ un mercato dove il Milan è partito male ed è finito peggio visto che sostanzialmente si conferma la squadra dello scorso anno con la sola aggiunta di Giroud che va a coprire l’assenza della seconda punta prendendo il posto di Manzdukic.

E’ un mercato che purtroppo riporta alla mente la causa dell’inizio della crisi del Milan: gli errori del mercato 2013/14 quando si ritenne che la squadra qualificata alla Champions League fosse sufficientemente competitiva. Quello, seguito dagli errori tattici di Allegri la portarono al pessimo girone d’andata culminato con l’esonero dopo la partita contro il Sassuolo. Quella squadra non aveva un gioco, questa lo ha ed è ad oggi la grande differenza – ma in entrambi i casi la mancata voglia di investire guardando prima al bilancio e alla sostenibilità è stata determinante.

Il mercato parte coi mancati rinnovi. Gestito bene quello di Donnarumma che ad oggi pone un problema su cui la federazione dovrebbe intervenire il prima possibile per evitare l’esodo dei talenti della Serie A verso altri lidi più ricchi. Gestito bene perché Milan trova sostituto in tempo, pagandolo poco ma riceve comunque un importante danno economico dall’irriconoscenza dell’ex portiere.

I procuratori ovviamente diventano un problema solo quando nella stessa situazione si trovano Lautaro e/o Dybala – questo anche per l’assenza di milanisti nelle redazioni giornalistiche che contano. Le stesse redazioni hanno trasformato Calhanoglu, uno dei problemi del Milan degli ultimi anni, in Iniesta, grazie ad un cambio di maglia: appena vanno di là diventano tutti alti, belli e biondi con gli occhi azzurri, compreso Correa che ha segnato meno di Rebic negli ultimi due anni di Serie A, per dire.

Il mancato rinnovo di Calhanoglu ha fatto venire alla luce l’uomo dietro il numero 10, lo stesso che chiama l’Inter per proporsi dopo il malore di Eriksen (stando a quanto riportato da Suma a Telelombardia) e ha dato una opportunità a Diaz il cui “acquisto in prestito” è praticamente in un biennale a scadenza, vista la mancanza di diritto di riscatto e controriscatto (nonostante quanto riportato dai media). E’ una mossa che come già detto nel postpartita di domenica scorsa rinforza la squadra ma non credo che la mossa sia voluta o cercata dall’attuale dirigenza (che anzi, provò a rinnovare) o sulla quale l’attuale dirigenza abbia qualche merito.

Il mercato è stato quindi sostanzialmente la conferma della squadra dello scorso anno, costruita a debito, nella speranza che ripeta l’annata. Attenzione, però: la squadra dello scorso anno passa da 43 punti dell’andata a 36 nel ritorno. Passa da un -7 di differenziale tra Gennaio e Maggio che dovrebbe far suonare qualche allarme. La rosa ne esce secondo me nel complesso più forte e profonda tranne nel ruolo del trequartista dove bisogna sperare che a Diaz non succeda nulla durante la stagione. 

Il risultato della stagione 2021/22 passa quindi dalla crescita di Tonali, MVP delle prime due partite e dalla gestione del caso Kessie che è un caso che va risolto prima possibile. A differenza di Donnarumma e Calhanoglu – scappati come ladri – gli stadi saranno aperti ed un Kessie che non rinnova non può essere in grado di giocare in un San Siro che verosimilmente inizierà a contestare se la cosa verrà tirata per le lunghe. Bakayoko e Adil (che arriverà l’anno prossimo) sembrano onestamente due acquisti già fatti per preparare un non rinnovo e/o una partenza di Bennacer la prossima sessione. Un rinnovo che è figlio delle scelte della dirigenza – un rinnovo che poteva essere fatto a 6 ma che dopo le due vicende di cui sopra, ben sapendo che è d’obbligo, ha portato l’agente a sparare più alto. Leggi di mercato.

Quello che è veramente da mettere in discussione è il modus operandi del Milan che decide di non pagare i giocatori più di quello che valgono, con un occhio in particolare ai costi, facendo saltare rinnovi per cifre esigue. Se ci sono 5 per Messias e 10 per Adil, ad esempio, ce ne sono 15 per Faivre che salta perché offri 12. Se non rinnovi Donnarumma a cui offrivi 8, quegli 8 puoi darli a Kessie e chiudere il rinnovo subito. La politica di ritardare volutamente i rinnovi per evitare altri casi di pippe che rimangono con stipendio alto in squadra ha il suo prezzo – ed il prezzo è che più vai vicino alla scadenza più è difficile rinnovare un giocatore. Per non rinnovare due giocatori a 3 magari va a finire che ne rinnoverai uno da 8 e l’altro l’avrai comunque perso a 0.

Il Milan esce da questo mercato non approfittando della posizione di vantaggio derivante dalle partenze di Hakimi, Lukaku e Cristiano Ronaldo. Esce come già detto con una squadra più forte ma come sempre con quei pochi difetti non coperti a dovere su cui si rattopperà a seguire, che è poi la storia degli ultimi anni di mercato. Anni che ci sono costati punti decisivi e quindi danni economici perché non si voleva prendere quel giocatore facendo lo sforzo, preferendo lasciare il buco in organico. Esce come nel 2013/14 gestendo il bilancio e non investendo – che vuol dire andare sotto sperando di recuperare poi quei soldi con le sponsorizzazioni derivanti da una vittoria. Ne esce di fatto ritrovandosi nella stessa situazione del 2012-14, prima della follia Bee, dove si cercava di chiudere il bilancio in pari mettendo il bilancio stesso prima dell’aspetto sportivo.

Su questo aspetto Elliott e la politica di Gazidis sembrano chiare, lo siamo anche noi: una squadra che pensa al bilancio prima di tutto non è una squadra che vince. E’ una squadra che si accontenta di stare in Champions League quando va bene, cercando di vivacchiare con quei soldi o una squadra che vuole provare a vincere lo scudetto? Quest’anno c’era seriamente l’occasione di aprire un ciclo che potesse poi durare come quello della Juventus di Conte/Allegri ma al momento non è stata recepita.

Se si vuole un progetto sportivo incentrato sulla sostenibilità è anche importante fare player trading. Player trading vuol dire che se Bennacer fa bene con due anni di contratto ed ha una offerta importante prendi il rischio di cederlo e rimpiazzarlo – che è una cosa che a Milano, sponda rossonera, non è mai stata digerita dai tempi di Sheva e Kakà anche grazie alla complicità di certi figuri in cerca di poltrone che accusano chi si lamenta di questo mercato mentre dissero ben di peggio sui precedenti. Anche qua, purtroppo, non siamo coperti mediaticamente come chi perde Hakimi, Conte e Lukaku ma ha tweetstar che condividono direttamente il profilo con Marotta ed Ausilio o giornali che dicono che sono più forti di tutti lo stesso. A noi manca questo genere di personaggi e – quando li abbiamo avuti – erano foraggiati da chi remava contro la proprietà prima e lecchini senza dignità del calabrese poi. Troppo sfacciati per essere credibili.

Quello che stupisce è come i tifosi del Milan siano passati dal volere una cessione a tutti i costi per tornare a vincere qualcosa ad accettare la situazione di partenza di una spending review: con Elliott non vincerai mai né il diciannovesimo, né l’ottava – se poi a qualcuno piace fare l’Atalanta è un problema suo. Non puoi fare un progetto basato sulla crescita dei giovani se poi i giovani non li rinnovi per tempo e li perdi. Non puoi fare un progetto senza il player trading, rischiando e rinforzando la rosa con acquisti pesanti e importanti. La gestione Elliott lascia il Milan nel limbo del “vorrei ma non posso” – proprio per questo spero che una volta sistemato stadio e tutto il Milan venga ceduto a chi lo riporterà dove deve essere.