Il bilancio del fallimento: basta rimpiangere Fassone!

Finalmente i numeri sono fuori, sono nero su bianco, anzi nero su rosso – come piace dire a qualcuno. Finalmente la malagestio, quella vera e non quella dichiarata negli anni scorsi per slogan, del duo Fassone-Mirabelli emerge in tutto il suo splendore. Il bilancio evidenziato finora evidenzia una crescita pari a zero rispetto a dicembre 2016 – ad un anno e mezzo fa – vale a dire all’ultimo bilancio della gestione Berlusconi-Galliani. Un fallimento totale e clamoroso a cui i numeri non lasciano attenuanti. Prima di partire con la analisi, le nostre fonti sono calcioefinanza sia per il bilancio 2017/18 che per quello del 2016 (il Milan è passato alla gestione stagionale con l’addio di Fininvest.

RICAVI – La crescita dei ricavi del Milan è pressoché nulla e certamente non strutturale. 255,8 milioni al 30 giugno 2018 contro i 236,1 al 31 dicembre 2016. Come si può vedere, però, la maggior parte di tali ricavi arriva quasi esclusivamente dai ricavi da Calciatori (plusvalenze), cresciuti di 26 milioni. Gli altri incrementi riguardano le gare e i diritti TV cresciute in numero per la qualificazione all’Europa League e per un incremento degli abbonati. Non certamente per merito di chi gestisce il Milan. Quello che è grave è il calo di 15 milioni negli sponsor: non solo l’addio di Adidas ma anche quello di altri top per una vera e propria fuga sotto gli occhi di tutti anche se negata. Dolce e Gabbana ed Audi sono stati rimpiazzati da Vwin ed Alpenwater. Basta? Un dirigente capace non fa scappare Adidas e non cerca accordi con Puma, semmai cerca di strappare Nike. In un periodo di rilancio – almeno teorico – del club – il signor Fassone ha fallito dove era chiamato a portare più il maggior beneficio del suo lavoro, ovvero cercare di portare sponsor convincendoli del progetto. Era forse più facile convincere i tifosi con qualche influencer su cui – a fronte di questi risultati – sarà necessario porsi più di qualche domanda sulla spontaneità della sua condotta.

SPESE – Da Dicembre 2016 a Giugno 2018 il Milan costa 60 milioni in più all’anno, senza aver migliorato la propria posizione in classifica (anzi, peggiorandola – mi viene da dire – visto che a Dicembre 2016 eravamo terzi). A Fassone va riconosciuto di aver ridotto il costo del personale (per forza, ha licenziato tutti gli ex-dirigenti…) anche se di quei 157 di dicembre, molti sono calati nel successivo bilancio visto che metà si rifà alla stagione 2015/16 e metà alla stagione 2016/17 in cui si era registrato un sensibile calo del monte ingaggi. Al netto degli accantonamenti, il Milan ha speso 60 milioni in più per motivi puramente sportivi – vale a dire gli ammortamenti dei cartellini dei calciatori che sono quasi raddoppiati, per di più per materiale a volte scadente. La responsabilità, quindi, è puramente della gestione sportiva di Massimiliano Mirabelli.

Se ripenso che il nostro amministratore delegato era Marco Fassone mi vengono i brividi

SALDO – Il rosso risultante è quindi di 126 milioni, decisamente troppo per un club che si fondava su capitali dalla provenienza sconosciuta e dall’arrivo non sempre immediato. Se Yonghong Li fosse stato il proprietario del Milan ad oggi avrei voluto vedere in quale modo avrebbe potuto far fonte a tale capitale per ripianare il passivo vista l’incapacità di mettere insieme faticosamente 15 milioni per gli aumenti di capitale. Con ogni probabilità il Milan avrebbe dovuto far fronte a cessioni importanti (Suso, Donnarumma ma anche Bonaventura) per garantire la propria stessa sopravvivenza. Deve essere chiaro che con quella proprietà e quella gestione non c’era altra destinazione per il Milan se non quella di un’aula di tribunale.

TRASPARENZA E SCHIENA DRITTA – La parte più bella ed esilarante riguarda proprio le veline e le promesse di Fassone. A giugno veniva fatto passare il messaggio di un bilancio chiuso intorno a -75 milioni con le lodi del caso per essere riusciti a ridurre i passivi precedenti. Andando a vedere il piano dei ricavi presentato in UEFA, il Milan ha avuto addirittura più di quanto previsto dallo stadio e dai diritti TV – ovvero le due parti che non dipendono dalla gestione. Mancano, invece 17 milioni dei 61 dichiarati tra Sponsor e Marketing – quasi il 30%. In una qualsiasi azienda, un amministratore delegato che sbaglia le stime del 30% viene licenziato il giorno dopo ed il Milan non ha fatto eccezione. Evito di rigirare il coltello nella piaga sui ricavi dalla Cina: una presa per il culo che appariva improbabile anche ad uno studente con la licenza elementare. Ce n’è anche per il signor DS dalla schiena dritta che paga 5,5 milioni Borini e paga laute commissioni per Reina ed Halilovic. Fassone è stato giustamente licenziato per giusta causa e la società ha deciso di rivalersi nei suoi confronti per danni: ne prenda atto chi continua a difendere questo signore. O si sta con Fassone, o si sta con il Milan: rivalutare Fassone vuol dire essere contro l’attuale dirigenza e proprietà del Milan.

E ORA? – Ora rimane da aspettare la scure dell’UEFA che può paradossalmente “sanare” questi passivi concedendoci un Voluntary Agreement o farceli pagare in maniera pesante con un giudizio o un settlement. Sicuramente il bilancio non andrà in pari in breve tempo e anche questo dovrà essere messo in conto: inevitabile una riduzione delle spese, magari di quelle da ammortizzare piuttosto che quelle a zero. Rimangono però interrogativi aperti per un piano di sviluppo ed un bilancio da subito poco credibili. Rimane da chiederci se i fiancheggiatori di questo signore – ora spariti – fossero o meno in buona fede. C’è chi ancora ha il coraggio di parlare, come se non fosse successo niente. Sicuramente questa vicenda passerà alla storia come utile lezione per imparare a distinguere la buona e la mala gestione (dei dirigenti) e la buona e la mala fede (dei tifosi). A mai più, re del fallimento.