Cultura del sospetto, cultura del rispetto

La reputazione del calcio italiano, già danneggiata dal clima di violenza, dalla crisi economica e dalle magre figure della nostra nazionale e dei nostri talenti da esportazione, non è certo aiutata dai due difetti più gravi dell’italiano medio. Il primo è la critica ad ogni costo. Riconosco di esserne anche io vittima, e che certe volte dovrei smetterla di raccontare di tutti i problemi del mio Paese e lasciar trasparire anche la parte positiva (perché c’è) della terra che mi ha dato i natali. Che dovrei ricordare che, nonostante le figuracce europee di una certa squadra, siamo finora primi nel ranking UEFA stagionale, che sotto le macerie di Sudafrica e Brasile c’è la generazione dei vari Perin, Rugani, Bernardeschi, Belotti e così via, che scalpita e vuole spazio. Ma sarebbe una goccia in un mare di livore.

Lo stesso mare di livore che circonda l’ambiente rossonero, purtroppo. Ogni iniezione di fiducia viene annegata dalle critiche di chi aspetta il primo mezzo passo falso, il primo passaggio sbagliato o il primo cambio fatto un po’ troppo tardi per criticare chi, in campo o in panchina, difende i nostri colori e presentarsi come vere e proprie vedove di chi c’era prima. Sia esso un campione che non veste più la nostra maglia, un presunto campione che è migrato verso altri lidi o un ragazzo bravo, ma che è ben lungi da essere il campione descritto da alcuni, al punto da fare panchina o tribuna in un campionato meno competitivo del nostro: giusto per la voglia di criticare.

Senza ricordarsi di aver criticato “chi c’era prima” ancora più veementemente, o facendo finta di non ricordarsene. Perché l’italiano medio prova gusto nei soprannomi ironici, negli scimmiottamenti, nelle macchine del fango pronte all’azione, nelle frecciatine telematiche, negli insulti da ritrattare quando poi fa comodo, nella nostalgia dei “bei vecchi tempi” che spesso tanto “bei” non erano. E l’italiano, e soprattutto il milanista, medio è pronto a esigere rispetto per chi ha fatto la storia della propria squadra, salvo poi rivolgersi contro chi a quella storia ha contribuito più di tanti altri, per andare a sostenere la bandierina del momento.

Infatti, l’italiano medio adora cambiare sempre opinione, parte politica, versioni dei fatti, e così via. Beninteso, cambiare opinione quando è necessario non è un male, anzi; voltare sistematicamente gabbana, invece, lo è. Perché dimostra quando va bene poca fiducia nelle proprie idee, quando va male malafede. La stessa malafede di chi, nel nostro ambiente, prende le parti del per anni tanto criticato Allegri esattamente nel momento in cui quest’ultimo, da allenatore della Juve, ritorna così sul gol di Muntari: “Non si può non credere a niente, non si può pensare sempre alla malafede. In Italia c’è la cultura del sospetto, è questo che dobbiamo cambiare. Dal sospetto al rispetto”. Parole di colui che in quella sera del febbraio 2012 era dall’altra parte, in prima persona danneggiato da quell’episodio, e che, con due scudetti vinti di seguito al Milan, si sarebbe guadagnato un (peraltro legittimo) credito di riconoscenza nei confronti di società e tifosi non indifferente.

Si chiama “cultura del sospetto” il legittimo lamentarsi di un torto subito, “cultura del rispetto”, invece, quella rappresentata da chi continua ad accampare le scuse più assurde su quel gol, da quelli che “non me ne sono accorto, ma se me ne fossi accorto non l’avrei detto”. Ma non è questo il punto. Il punto è che queste definizioni sono evidentemente assai gradite ai nuovi fan guadagnati negli ultimi mesi dall’ex allenatore rossonero – e non mi riferisco ai tifosi della Juventus. Perché quella “del rispetto” è anche la cultura in cui tweet e post di altro tenore rispetto alla linea del momento spariscono misteriosamente, con periodica meticolosità. La cultura di cui tutti ci lamentiamo ma nella quale, alla fine, molti, italiani e (supposti) milanisti, sguazzano piacevolmente.

1 commento

  1. La critica eccessiva avviene per tanti motivi:

    Frustrazione esistenziale
    Senso d’ impototenza
    gelosia ed invidia.

    In ogni caso va contrastata duramente in quanto piaga sociale. Se i buoni e i sani di mente non si oppongono che poi non si lamentino. Lasciare campo libero ai pazzi e’ follia. Isolarli e circoscriverli invece e’ cosa giusta

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